Tigullio: il pesto con la maggiorana, il cavolo navone e la nepitella. Quando la cucina tradizionale non era solo un "mito" - LevanteNews
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"l'albero della cuccagna" di getto viarengo presentato a santa margherita

Tigullio: il pesto con la maggiorana, il cavolo navone e la nepitella. Quando la cucina tradizionale non era solo un “mito”

Generico febbraio 2024

Un libro su “paesaggio, alimentazione e cucina” firmato da Giorgio “Getto” Viarengo potrebbe sorprendere, di primo acchito, almeno chi è abituato a immaginare il suo lavoro come il punto di contatto fra la Grande Storia e il “mondo piccolo” del Tigullio. Se però si torna indietro con la memoria al 1981 e a un godibilissimo lavoro di Anna Lajolo, “due amici e un cane sulle colline dei ravioli”, docufilm di memoria popolare con Ettore Devoto e Vittorio Battistoni, vediamo un giovane Viarengo intento raccogliere e spiegare erbe, usi e leggenda del prebuggiun, “da far bollito con le patate”. Segno di una passione che viene da lontano. I pranzi pantagruelici di Ettore e Vittorio erano banchetti di cibi, almeno in parte, ancora “tradizionali”, punti d’immersione del mondo contadino – allora già al tramonto – in quel “paese di cuccagna” che i contadini sognavano a occhi aperti per sfuggire al loro destino di fatica. Quantomeno con l’immaginazione. E “L’albero di Cuccagna” (Internos edizioni) è proprio il titolo del libro su “paesaggio, alimentazione e cucina” che Viarengo sta presentando in un tour rivierasco che ha toccato, anche, la biblioteca di Santa Margherita Ligure.

Qui lo incontriamo e riceviamo la sua sentenza: “La cucina tradizionale non esiste più perché non esistono più i prodotti della tradizione”. Ossia, i prodotti del territorio. Sì, a livello domestico, con qualche compromesso, è ancora possibile avvicinarsi a quel mondo, spiega Viarengo, che coi suoi 3 orti densi di ortaggi dagli echi remoti come il cavolo navone e quello gaggetta prova a ricalcare i sapori dei “vecchi”. Ma provate a suggerire ai ristoranti di cimentarsi in una cucina autenticamente tradizionale, coi costi e le difficoltà di reperimento della materia prima che questa direzione comporta. Lui ci ha provato e il risultato non è stato entusiasmante.

Quel che Viarengo fa, nel suo tour, è appuntarsi le statistiche di Lazzaro Boeri, funzionario della società economica a cavallo del 1870, e imprimere all’uditorio lo shock di quanto il paesaggio di ieri sia diverso da quello di oggi. Soprattutto in località come ‘Santa’, dove si fa fatica a immaginare che vi si potessero spremere qualcosa come 195mila litri di olio di oliva e affinare 160mila di vino; e poi 350 quintali di frumento, 400 di granoturco e altri cereali fra cui il farro (“da cui l’etimo farina”). E ancora: legumi, castagne, mele (“ma di qualità del tutto diversa da quelle che si vendono oggi nei supermercati”), fichi secchi e agrumi (“330 mila pezzi fra limoni e aranci”). Integrava il reddito dei contadini, non solo di ‘Santa’ ma di tutto il comprensorio, il baco da seta. Ebbene, si provi oggi a trovare una pianta di gelso. Viarengo – dice – è riuscito a fotografarne uno a Orero. Questi erano i numeri di un mondo popolato da contadini – non solo con le loro galline, ma anche coi loro bravi cavalli, mucche e maiali – barcaioli, pescatori di corallo e merlettaie.

Può essere “replicabile”, oggi, la cucina di allora, a partire da un paesaggio che non c’è più? Possiamo imitarla, certo: farro, ceci, cannellini, cavolo nero e patate per una mescia (la mesciua spezzina alla moda del Tigullio) non mancano negli scaffali dei supermercati, ma sono gli stessi che usavano i nostri avi? E c’è di più: quella che chiamiamo tradizione è spesso un tentativo di codificazione ormai antico rispetto a noi epperò tardo in rapporto alla sorgente profonda delle consuetudini alimentari. Un mito, insomma. Per questo chiamiamo “tradizionale” il pesto fatto col basilico, sfoggiando grande rigidità a difesa della ricetta che pretendiamo autentica, “dimenticando – chiosa Viarengo – che già il Ratto suggeriva, casomai non vi fosse disponibilità di basilico, di usare un poco di maggiorana”. E quanti “tradizionalisti”, oggi, usano la nepitella, una mentuccia selvatica che nei tempi antichi si metteva dappertutto e che dunque meriterebbe davvero l’appellativo di tradizionale? Sì, alla fine i contadini hanno visto realizzata la loro utopia: il Tigullio è diventato, almeno per qualche decennio, il “Paese di Cuccagna”, ma all’inevitabile prezzo di perdere qualcosa di sé. Qualcosa della sua anima. Qualcosa che oggi è diventato “cibo” per gli storici.