Chiavari: caso Toti e Parco Portofino, le considerazioni di Luca Garibaldi - LevanteNews
LA REDAZIONE
Scrivici
PUBBLICITÀ
Richiedi contatto
Politica

Chiavari: caso Toti e Parco Portofino, le considerazioni di Luca Garibaldi

Luca Garibaldi, consigliere PD.
Luca Garibaldi

Da Luca Garibaldi , consigliere e capogruppo del Partito Democratico in Regione Liguria

Ciao,

sono passate tre settimane dall’arresto del Presidente della Regione Toti e la crisi regionale continua ad avvitarsi sempre più. Ora, dopo diverse settimane, Toti è stato interrogato dalla Procura di Genova e pochi minuti dopo la chiusura dell’interrogatorio sono state pubblicate 17 pagine di memoria difensiva – ad uso dei giornali e per mandare alcuni messaggi agli alleati della sua maggioranza.

Poi sono usciti anche i verbali degli interrogatori, altre 27 pagine, in cui erano più i “non ricordo” e i “non so” che le risposte. In una delle vicende più gravi che riguardano Toti, cioè il suo attivarsi con Spinelli per una concessione, la risposta del presidente è stata singolare: non un’azione che poteva configurare un abuso d’ufficio o corruzione, ma solo una “captatio benevolentiae” verso l’imprenditore.

Ora, se sia “captatio” o solo “captatio benevolentiae” lo decideranno i giudici, ma mi voglio soffermare in premessa su alcuni elementi che Toti – nelle sue memorie – pone come giustificazione dei propri comportamenti e che a mio avviso, dal punto di vista politico, si configurano come un’ulteriore aggravante che dovrebbero portare alle dimissioni.

Toti sostiene questa singolare teoria, che suona così: “non mi muovevo per favorire solo gli imprenditori che mi versavano contributi elettorali, tracciati. Favorivo tutti, anche quelli che non davano nulla per il mio movimento politico. L’importante era velocizzare e sbloccare le pratiche”.

Sinceramente, ho fatto fatica a capire da dove iniziare per commentare tutto questo.

Primo: non mi pare una giustificazione dire “solo alcuni mi hanno pagato le campagne elettorali”, anzi, come se ci fosse una “modica quantità” – politicamente e penalmente irrilevante  – di potenziale scambio tra azioni della regione e corrispettivi economici da parte dei soggetti che le richiedono.

Secondo: l’idea che il Presidente della Regione si descriva come un faccendiere, che disbriga pratiche e le velocizza è particolarmente imbarazzante, perché il compito del Presidente della Regione dovrebbe essere quello di governare una regione, non di seguire le singole pratiche.

Terzo: Il quadro è politicamente imbarazzante ancor di più perchè – volontariamente o involontariamente – restituisce l’immagine di una attenzione a due velocità rispetto all’interesse pubblico.

C’è la fascia degli inclusi, degli interessi economici rilevanti, delle operazioni immobiliari e speculative, dove Toti si muove in modalità “Cup dei ricchi”, per trovare soluzioni.

Dall’altra c’è il resto del mondo, chi non ha il numero di telefono di Toti e  deve attendere tempi, procedure, fare i bandi, attendere ai modi e alle regole dei comuni mortali, anche magari con problemi più gravi rispetto a quelli per cui Toti si attiva, ma che non stanno nel novero delle tematiche ritenute interessanti e produttive dal Presidente della Regione.

Ecco, che Palazzo De Ferrari si sia trasformato in Palazzo degli Affari è lo stesso Toti a dichiararlo nelle sue memorie difensive.

Da un lato le corsie privilegiate per gli imprenditori amici – sperando di ricevere qualche contributo elettorale – dall’altro le liste d’attesa per il resto dei cittadini, che possono aspettare.

Solo per aver ipotizzato e applicato questo schema – devastante per l’interesse pubblico – Toti non dovrebbe rimanere un minuto di più a fare il presidente della regione. Perché politicamente non ha più alcuna credibilità.

E invece si continua in uno stallo insostenibile e indecente, con la destra che è disposta, pur di non perdere il potere, a condannare all’avvitamento economico la Liguria, ormai non più governata da nessuno. E anche le dichiarazioni di domenica di Giorgia Meloni, che sostiene che sta a Toti decidere, indicano che per la destra una regione può rimanere appesa a quello che vuole fare un uomo solo, senza che si dica una parola su nulla.

Anche per questo, già martedì nel prossimo consiglio regionale continueremo a chiedere le dimissioni di una giunta che è contro gli interessi della nostra regione: abbiamo anche lanciato un appello alla partecipazione, perchè il Consiglio torni ad essere un luogo di tutti e non di pochi.

DIGA DI GENOVA.
TANTA PROPAGANDA, NESSUNA CHIAREZZA SULL’OPERA, QUASI UN ANNO DI RITARDO
La Regione, prima dell’arresto di Toti, aveva preparato il disegno di legge per finanziare la seconda fase della diga con l’accensione di un mutuo da 57 milioni di euro, da votare il 21 maggio, poco prima della cerimonia di posa del primo cassone della nuova diga di Genova, prevista per il 24 maggio. Più che un finanziamento per la diga, un finanziamento per la campagna elettorale, oserei dire. Scoppia l’inchiesta, si scopre cosa ruota attorno alle opere, a partire dalla seconda fase della diga, definita “variante Spinelli” ma la nuova giunta non recede dal finanziamento. Salvini dice che le opere devono andare avanti, a partire dalla Diga. Rixi subito dopo sostiene che però bisogna mandare una commissione di ispettori nel porto, per valutare gli atti. Ma non si capisce se tra gli atti da controllare o meno ci siano anche quelli riguardanti la Diga. Poi aggiunge che non si può nominare un nuovo presidente del porto di Genova, perché non c’è un Presidente della Regione con pieni poteri che può dare l’intesa sul nome. Nei fatti ammettendo che il Presidente facente funzioni, Alessandro Piana, del suo stesso partito, non è davvero un presidente, ma un gestore dell’ ordinaria amministrazione, con meno poteri di un curatore fallimentare.

In quei giorni chiediamo le dimissioni dell’attuale commissario del porto sostenendo che serva un nuovo presidente del Porto di Genova perché l’attuale figura, nominata da Rixi-Toti-Salvini, non garantisce operatività e terzietà, e il primo porto d’Italia ha bisogno di una figura con poteri pieni, non azzoppato. Il giorno prima del voto sul finanziamento Bucci – commissario per la Diga – intima al Consiglio Regionale di finanziare l’opera. Come se fosse cosa sua. Lo stesso giorno l’autorità portuale chiede al costruttore della diga di avere chiarezza sugli studi sul fondale necessari per conoscere la tenuta della posa del primo cassone, che evidentemente é programmata senza che siano finiti i test, e si premura di addossare le eventuali responsabilità sul costruttore stesso, Webuild.

Il giorno del voto, il 21 maggio, di fronte alla nostra richiesta di stralciare il finanziamento per la diga, per avere chiarezza, la destra risponde che non sanno quale progetto finanziano, ma nel dubbio aprono il mutuo senza sapere i costi finali e senza attendere neppure le valutazioni d’impatto ambientale e l’esito degli ispettori. Il presidente facente funzioni, Piana, della Lega, dichiara che “non ci è consentito dire di no” al finanziamento. Dimezzato da Rixi e commissariato da Bucci. Tutte le forze di opposizione votano no al nuovo finanziamento al buio, per mancanza di chiarezza sull’opera, sulle procedure e anche per perplessità di carattere politico oltre che tecnico.

Il giorno dopo il voto sulla diga in Regione, in risposta ad una interrogazione parlamentare di Andrea Orlando, Valentina Ghio e Luca Pastorino, Salvini dichiara che la commissione di ispettori al porto lavorerà quattro mesi, si occuperà delle concessioni, ma non si sa se si occuperà della diga, su cui, sostiene, bisogna andare avanti. Comunque. Peccato che i lavori della diga finora siano in ritardo di 233 giorni, quasi otto mesi, grazie alla gestione commissariale di Bucci e del porto. Al netto delle inchieste e con il fatto che mancano pure i test sulla posa del primo cassone.

All’inaugurazione del primo cassone – affondato senza che sia chiaro se i test sulla tenuta del fondale siano stati completati – Salvini ringrazia Toti come protagonista del Rinascimento ligure (perché c’è sempre bisogno nel dramma, anche di chi suona farsesco e ridicolo). Il tutto in una cerimonia in streaming, nascosta da tutto e da tutti, mentre continuano a crescere i dubbi sul progetto della diga, su come la destra la sta gestendo e sul fatto che il costruttore – Webuild, lo stesso che costruirà il ponte sullo Stretto – continua a non dare risposte sulle criticità tecniche e di sicurezza emerse negli ultimi giorni.

Dal “modello Genova”, anche questa settimana è tutto.

PARCO DI PORTOFINO, SCONFITTA L’ENNESIMA SCELTA ARROGANTE DI TOTI.
TORNA IL PARCO A 11 COMUNI. Toti e Alessandro Piana, presidente e vice presidente della Regione, sono accomunati da un fatto: quello di aver fallito nelle scelte riguardanti il Parco Nazionale di Portofino. L’ultimo fallimento di Toti presidente di Regione è il primo di Piana facente funzioni, in una grande continuità di intenti.

Il TAR infatti ha smentito per l’ennesima volta la Regione, il Ministero e la Lega, ripristinando il Parco a 11 comuni, per mancanza di motivazioni tecniche-scientifiche da parte della Regione che ne giustificassero la riduzione. Quello che sostenevamo da tempo, assieme alle associazioni che hanno promosso poi il ricorso. Sul parco di Portofino da ormai sei anni si gioca una partita insostenibile e indecente sulla spalle del territorio. Siamo di fronte all’ennesima forzatura andata male. La scelta di Toti di procedere con un parco a tre Comuni, forzando tutte le regole e tenendo fuori dal nuovo Parco nazionale gli altri Comuni che ne volevano far parte è fallita. I territori per Toti sono sempre stati merce di scambio per garantirsi il futuro in Regione, lo ha fatto con i confini del Parco per ingraziarsi la Lega e lo ha fatto con il rigassificatore a Vado-Savona per ottenere il terzo mandato da Meloni. Sulle altre modalità di gestione del territorio basta leggere le cronache dei giornali in questi giorni. Un altro tassello del sistema predatorio di gestione privatistica della Regione viene meno e ora bisognerebbe avere la decenza di ampliare il Parco nazionale di Portofino nelle modalità previste originariamente, con i comuni che volevano farne parte, invece di continuare a bloccare lo sviluppo sostenibile del territorio perché la Lega è contro i parchi e perché Toti si è svenduto alla Lega.

LA DESTRA IN COMMISSIONE ANTIMAFIA PROVA A BLOCCARE LE AUDIZIONI DI LIBERA E DELL’AUTORITÀ ANTICORRUZIONE. HANNO PAURA A PARLARE DI LEGALITÀ E APPALTI?Quanto avvenuto  in Commissione regionale Antimafia rappresenta, al massimo grado, l’immagine della crisi e dell’implosione di tutto il centrodestra, nessuno escluso. Di fronte alla richiesta del PD, del M5S e del Presidente della Commissione Antimafia Centi, di audire l’Autorità Nazionale Anti Corruzione e Libera il centrodestra compattamente ha votato contro la richiesta che aveva l’obiettivo di capire gli strumenti utili e necessari per affrontare l’emergenza dei fenomeni di corruzione e di infiltrazione mafiosa nella nostra regione e per dare una fotografia del contesto ligure.
Una scelta imbarazzante che contrasta anche con quella nazionale, dove la Commissione bilaterale Antimafia, fra l’altro a guida Fratelli d’Italia, ha accolto la richiesta del PD di svolgere approfondimenti sull’inchiesta in corso in Liguria. Qui, invece, la destra non solo non dice una parola sull’inchiesta, ma non vuole neanche discutere di corruzione e infiltrazioni mafiose.

Le audizioni si svolgeranno comunque, perché bastava un terzo dei voti, che è stato raggiunto grazie alle opposizioni, ma la situazione è diventata insostenibile. Come si può pensare che si possa tenere sospesa la Regione con un centrodestra che si rifiuta di parlare di anticorruzione, di trasparenza e legalità degli appalti e di contrasto alle infiltrazioni mafiose? La destra dimostra ancora una volta che non ha la minima tenuta e credibilità per affrontare le sfide di questa regione, se non riesce neppure a confrontarsi su temi fondamentali come quelli della legalità.

LA REGIONE VOTA CONTRO LO STOP AI NUOVI SUPERMERCATI E  CENTRI COMMERCIALI IN CONSIGLIO REGIONALE, MA IL GIORNO DOPO BLOCCA LA CONFERENZA DEI SERVIZI SUL NUOVO ESSELUNGA A SESTRI PONENTE. Nell’ultima seduta di Consiglio Regionale, si è acceso il dibattito anche sul futuro del commercio in Liguria. La scelta della maggioranza di votare contro la proposta del PD di sospendere fino al 2025 l’apertura di nuovi ipermercati e centri commerciali, è una fotografia chiara di come la destra di Toti non voglia aiutare il piccolo commercio, trattandosi di una misura che avrebbe riguardato sia le nuove richieste sia i procedimenti in corso. La proposta estendeva una norma della Lega nell’estate del 2020, che era durata solo sei mesi, giusto il tempo della campagna elettorale delle regionali. Già nel 2021, il Partito Democratico aveva riproposto una moratoria sulle nuove strutture commerciali fino al 2022. Tuttavia, la Lega aveva respinto l’iniziativa dopo aver ritirato una proposta analoga su richiesta del Presidente Toti: nel giro di pochi mesi, vennero poi date due autorizzazioni a Esselunga, in tempi molto rapidi. Se si poteva ulteriormente peggiorare la situazione, in aula l’ex assessore Mai, capogruppo della Lega, ha dichiarato che la loro posizione è legittima perché “il piccolo commercio non è così in crisi”.

La Lega difende il piccolo commercio solo a corrente alternata: solo prima delle elezioni, per poi ubbidire a Toti e a Bucci durante tutto il resto del mandato. Anche ora, per un riflesso condizionato, nonostante Toti sia sospeso e il Presidente facente funzioni sia un leghista, la Lega continua ad applicare il ‘totismo senza Toti’, fino all’ultimo. Peccato che la propaganda è durata ben poco e poi la realtà ha preso il sopravvento, con una clamorosa retromarcia di Regione e Comune che nel giro di due giorni sono passati dal difendere tutte le procedure e a bocciare le nostre proposte, a bloccare la conferenza dei servizi in merito al nuovo supermercato Esselunga a Sestri Ponente, una delle autorizzazioni alla luce delle inchieste di questi giorni. Chissà cosa faranno delle altre procedure in corso e delle altre domande?

IL MODELLO GENOVA?
UN FALLIMENTO, HA ESPROPRIATO LA DEMOCRAZIA A proposito di Modello Genova, ho rilasciato proprio su questo argomento una intervista sabato a Matteo Macor su Repubblica Genova. Ve la lascio integralmente. «Ce lo dice il terremoto di queste ore, ce lo dicono gli stalli di tutte le opere sotto commissariamento: il “Modello Genova” tanto caro alla destra è un modello malato e fallito, che non funziona, ha espropriato le decisioni democratiche per diventare modello di potere, e ora sta facendo ingolfare la Liguria».

Siamo al muro contro muro su tutto: era prevedibile, non pensa? «Ma non fino a certi punti. Oggi (ieri, ndr) il centrodestra ha votato contro le audizioni di Libera e Anac nella commissione Antimafia. Se hanno paura di decisioni come queste, mi chiedo come possano pensare di continuare a governare nonostante tutto. Siamo al Totismo senza Toti, quando invece servirebbe con urgenza riacquistare la credibilità di istituzioni e politica».

Non pensa sia troppo difficile, il momento, per un cambio di rotta? «In Regione difendono ogni scelta di governo, ma senza la tenuta per poterla portare avanti. Così si finisce nello stallo amministrativo, o peggio. Quando il sindaco di Genova o il vicepresidente in Regione non rispondono alle rispettive aule consiliari ma fanno parte di una maggioranza che non riesce neanche a firmare un atto, significa che non fanno l’interesse pubblico, ma il proprio».

Oggi verrà varato nonostante tutto il primo cassone della Diga. «Sia la decisione di accendere il mutuo regionale di finanziamento dell’opera a tutti i costi, sia la scelta di fissare comunque la data del varo del primo cassone nonostante tutti i dubbi, i ritardi, i tempi allungati, sono frutto di una narrazione che a destra devono portare avanti a prescindere. Più vanno avanti con i cantieri, più pensano di convincere i cittadini di poter andare avanti loro. Portandoci tutti fuori strada con loro, però».

È la fine del “Modello Genova”? «In questa regione il modello della ricostruzione del Morandi è stato trasformato da uno strumento eccezionale in un modello di gestione del potere. Accentrando sulle figure dei commissari il ruolo dei luoghi di discussioni, contorcendo la legge con poteri che hanno consentito di passare dalla contrattazione alla gestione privata del pubblico. E poi svuotando i luoghi di discussione democratica, mortificando la stessa idea di partecipazione. Un modello malato, che non funziona. Non è un caso, se il lavoro di tutte le strutture commissariali della regione sono in panne. Dicono serviva a velocizzare, ha creato solo stallo, confusione, ritardi, inchieste per corruzione».

È la fine della politica? «C’è un problema politico enorme, serve restituire dignità e forza a un’istituzione. E serve ritornare a una credibilità della politica, con partiti solidi e forti, una politica autorevole. Uno scatto che possono fare i partiti che sono ancora luogo di partecipazione, facendo un’iniezione di partecipazione civica, la cosa più lontana dall’immagine di una Regione che veniva governata in stanze da quattro persone».

In tutto questo quando partirà, il lavoro comune del campo progressista sulla strada delle elezioni anticipate, se ci saranno? «Io lavoro da dieci anni fuori e dentro le aule della Regione, e penso che il lavoro condiviso in questa stagione sia già un’ottima base di partenza.
Per noi il ciclo legislativo è già finito, ora sta a noi rigenerare un campo di discussione democratica con tutti quei mondi che non sono stati ascoltati dal modello privatistico e predatorio che ha governato la Liguria per troppi anni».

 

 

 

 

 

 

Più informazioni