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Un'iniziativa de l'ardiciocca

Recco. Tra passato e presente: il ricordo dei medici del borgo alla presenza di Henriquet

Generico aprile 2024

C’era una volta il medico condotto. Quello che curava ma ancor prima ascoltava, tanto il corpo quanto il paziente; quello che con la sua autorevolezza, intinta in una speciale umanità, sapeva innescare sottili processi di auto-guarigione. Quello che discendeva, per certi aspetti, dagli antichi sciamani. Sì, il medico di famiglia c’è ancora oggi, ma va detto: non è proprio lo stesso mestiere. È cambiata la medicina: abbiamo nuovi strumenti diagnostici e di monitoraggio. Abbiamo nuove terapie. Eppure, in questa corsa al “nuovo” e al meglio, qualcosa si è perso per strada, e per dare un nome e una misura a questo “qualcosa” l’associazione L’Ardiciocca ha messo in piedi, in sala Lavoratori, un convegno dal titolo emblematico: O sciu megu.

Ospite d’onore? Il fondatore e presidente dell’associazione Gigi Ghirotti Franco Henriquet. Il quale, dopo un breve excursus sulla sua storia professionale e su quella della sua Onlus dedicata alla terapia del dolore, centra subito il punto: “Una malattia non è solo un fenomeno biologico o organico, ma anche psicologico, emozionale, affettivo e spirituale. E la relazione con il malato è, insieme, una relazione con la sua famiglia, anch’essa portatrice di sofferenza”. Quello che vede oggi Henriquet, che a maggio compirà 94 anni, è un medico che si relaziona sempre più al computer e sempre meno al paziente; un medico che, pur disponendo di conoscenze e strumenti avanzati, non sempre coglie il valore del rapporto empatico.

Gli organizzatori hanno fatto le cose per bene: in sala, introdotti da Alessio Siena, sono presenti i parenti dei vecchi medici condotti del borgo, citati uno a uno. Ecco allora riemergere dalle pagine di storia locale Giovanni Neuhold, tratteggiato dal figlio Riccardo; Boris Zitovic, “o megu ruxu”, il medico russo, ricordato dal figlio Stefano Kratochwila, pediatra; Antonio Bozzo (nella foto in basso), classe 1877, rievocato dal nipote Gian Antonio Antola, la cui memoria famigliare traguarda anche il trisnonno, milite dell’armata napoleonica dal 1792 al 1815. I medici di stanza a Recco, a inizio secolo, dovevano spesso recarsi nell’entroterra – Uscio, Lumarzo, Gattorna – coi mezzi disponibili, come la bicicletta. Le visite nelle case contadine erano spesso gratuite, al netto di un tacchino a Natale. I rimedi erano spesso artigianali e non sempre gradevoli: per il raffreddore, ricorda Antola, si ricorreva a dosi massicce di olio di ricino. Giorgio Martino, architetto, scende appositamente da Milano per ricordare il papà Giovanni, di stanza a Recco dal 1959. E da allora, fino alla pensione, sempre di guardia. “A quel tempo – dice – i medici uscivano a fare le visite in pigiama”. Esistevano poi vere e proprie dinastie di “dottori del luogo”, come i tre De Barbieri – Ignazio, Giuseppe e Gian Luigi – ricordati da Carla, figlia dell’ultimo. Parliamo di medici che hanno attraversato due guerre. Durante la seconda, a causa delle bombe, Giuseppe De Barbieri fu costretto a visitare i pazienti nella galleria del treno. Qualcosa di così distante da noi da sembrare incredibile. Eppure è tutto, drammaticamente vero. Come è vero che quei medici di famiglia dovevano saper fare di tutto un po’. Soprattutto, far nascere bambini. Gian Luigi De Barbieri, ricorda ancora la figlia, asseriva di averne fatti nascere 1000, qualcuno in contemporanea spostandosi da un punto all’altro della città.

Cosa resta – se qualcosa resta, oltre alla memoria ancora ricca di dettagli – di quell’epopea? Una consapevolezza antica e sempiterna, che non possiamo permetterci di archiviare fra le cose vecchie, men che meno oggi che siamo sul ciglio di un’era dominata dall’intelligenza artificiale. Carla De Barbieri la estrapola da un discorso del giudice anti-mafia Rocco Chinnici, medaglia d’oro al valor civile: “Cura più un buon medico di una buona medicina”. Franco Henriquet, con la testa, annuisce.

Generico aprile 2024
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