Chiavari: dall'Istria al Levante, storia di un esodo e di un'accoglienza - LevanteNews
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Convegno per il giorno del ricordo

Chiavari: dall’Istria al Levante, storia di un esodo e di un’accoglienza

Come momento di riflessione per celebrare la Giornata del Ricordo delle vittime delle Foibe (istituita dal Parlamento nel 2004), il comune di Chiavari ha organizzato, in collaborazione con l’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, questo pomeriggio all’Auditorium di Largo Pessagno un incontro con Petra Di Laghi, studiosa e autrice di testi sull’esodo e sull’accoglienza giuliano-dalmata.

Ha introdotto il convegno l’assessore alla Cultura, Silvia Stanig: “Siamo qui a commemorare pagine di storia per troppo tempo sepolte nell’oblio. Fino al 2004 non si parlava di questi fatti, i testimoni e i loro eredi non andavano a raccontarli nelle scuole. Sono sicura che l’incontro con la professoressa sarebbe stato interessante anche per un pubblico di giovanissimi – afferma Stanig -. Oggi parliamo di accoglienza: a Chiavari tanti hanno vissuto nel campo costruito nella Colonia Fara, dove ricordano momenti importanti della loro vita da bambini e adolescenti e ora sono perfettamente integrati nella vita chiavarese”.

A seguire è intervenuto l’ingegnere Fabio Nardi, presidente del Comitato Genovese di ANVGD. “Il Giorno del Ricordo, il 10 febbraio di ogni anno, è stato istituito dalla legge del marzo 2004 approvata da tutte le forze politiche e atto con cui si è chiarito una situazione. La nostra associazione è stata la prima a nascere per raccogliere e aiutare gli esuli giuliano- dalmati; oggi c’è ne sono 6 o 7. Spesso scappavano senza documenti. Nonostante questi lunghi anni di silenzio l’associazione ha cercato di fare emergere la verità e anche dopo l’introduzione della legge abbiamo continuato a collaborato con Slovenia e Croazia. Il presidente Mattarella ha incontrato a Basovizza i rappresentanti della Slovenia, entrata in Europa: sono aspetti diplomatici importanti che contribuiranno a migliorare i rapporti con le nazioni che hanno vissuto con l’Italia la tragica storia del confine orientale”, spiega Nardi. La Slovenia ha riconosciuto la presenza delle foibe nel suo territorio, la Croazia sta cominciando ora. “Tra il pubblico abbiamo un ragazzo che ha vinto un concorso regionale sul giorno del Ricordo e ha vissuto con noi un percorso storico visitando Pola, la foiba di Basovizza, la Risiera di San Sabba. Il fenomeno dell’immigrazione non si concentra in un periodo storico, anche se Pola e Fiume si sono svuotate in un mese – prosegue Nardi -. Le vicende che hanno colpito quei territori (stragi di massa della popolazione) hanno determinato questo flusso continuo degli abitanti italofoni. Le radice democratiche del nostro Paese anche in quel periodo molto particolare sono nette, perché si basano sull’accoglienza di più persone”.

“Fin da bambina mi piaceva ascoltare le storie dei miei nonni, della loro terra di sole e di gioia e della palestra della casa di Genova, fino a che ho iniziato a chiedere, e poi a studiare cosa è successo, perché sono andati via?”, inizia così la studiosa Petra Di Laghi. L’Istria è una striscia di terra, nella cui storia l’esodo data dal 1945 in poi (Zara rappresenta la prima esperienza); Friuli Venezia Giulia viene divisa in due zone: A, amministrata dagli italiana e B, amministrata dall’Jugoslavia. È in questo periodo che inizia il secondo periodo di violenza (il primo risale al settembre 1943) verso i supposti oppositori del nuovo regime di Tito; così nella popolazione si fa strada l’idea che per non essere perseguitati l’unica via è quella dell’esilio. Partono da Fiume nel 1947, poi da Pola: gli esuli sbarcano più volte al porto di Ancona e di Venezia, è uno spostamento continuo che dura per circa dieci anni via mare e via terra a Trieste.

“Durante le ricerche ho riscontrato la scelta della Liguria come prima residenza sia per motivi di lavoro che di affinità di paesaggio: oltre 8 mila persone si stabilirono nella nostra regione. La sola provincia Genova ne accolse più di 6mila”, sottolinea. Sorsero i comitati giuliani (associazioni), che fanno da tramite tra la burocrazia italiana e quella giuliano- dalmata, in quanto gli esuli sono privi del certificato di profugo. Infatti per tutto il 1945 lo Stato italiano non identifica gli esuli giuliani come una categoria assistenziali sé stante, perché sono italiani che si spostano da una parte all’altro del territorio italiano, il che ha contribuito a determinare la loro esclusione e il silenzio. Per quanto riguarda la provincia di Genova, pernottavano all’interno della stazione di Principe; il centro raccolta profughi, prima nel capoluogo, viene poi spostato nella Colonia Fara (campo 72). Sono ospitati per anni in conventi, ex campi di concentramento, abbazie , case dello studente lungo tutta la penisola italiana, dividendo una famiglia dall’altra da una coperta tirata. A Busalla sono messe a disposizione sotto affitto ville ed è una convivenza pacifica, che diventa inserimento e in alcuni casi cooptazione. Nel Levante, a Recco gli esuli aiutano a ricostruire la cittadina; a Rapallo sono ospitati all’albergo Fiorenza dove subiscono gravi disagi. “Tutti questi sono rifugi improvvisati, così come quello della Colonia Fara, eretta nel 1938, nel 1948 arriva a ospitare 479 persone. Il ritorno alla normalità – avere un lavoro e una casa – avviene soprattutto attraverso la Società di Navigazione, la Manifattura Tabacchi di Genova, che assumono moltissimi esuli. Il problema più grave è dare un alloggio agli esuli: attraverso la legge Scelba si avvia un piano di costruzione, cosa che determina una chiusura nei confronti del passato; a Genova sono stati costruiti a Sturla e nel quartiere di Oregina, in corrispondenza della chiusura della Colonia Fara come centro di raccolta. Io vivo ancora nella casa dei miei nonni, uno di questi alloggi”, ricorda Di Laghi.