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Festival della comunicazione

Camogli: Federico e Jacopo Rampini descrivono la loro e la nostra America

Come vuole la “tradizione” del Festival della Comunicazione di Camogli, l’evento di chiusura è con Federico Rampini, giornalista italiano naturalizzato statunitense (ha la doppia cittadinanza, italiana e americana) ed editorialista del Corriere della Sera, in piazza Battistone. L’incontro intitolato “A cosa serve l’America? Leader del mondo o impero del male?” è stato a due voci, quella del padre e quella del figlio, l’attore Jacopo Rampini, trentasei anni, anche lui naturalizzato.

Il racconto è Jacopo a iniziarlo; legge un testo su Manhattan e le sue peculiarità: la città che non dorme mai, per dirla con Frank Sinatra in “New York, New Jork”, una giungla d’asfalto col suo incessante ritmo, i divertimenti, la gente che si allena per la maratona, i drugstore aperti h 24 – perché non dovresti averne bisogno quando tutto il resto del Pianeta dorme?- Il luogo dove tutto è possibile a tutte le ore perché questo è Manhattan, il cuore della Grande Mela, questo quello chi ci offre e che noi ci aspettiamo da lei. Noi, occidentali.

“L’insonnia di Manhattan è ora il simbolo di una civiltà che sta morendo, di una città che ha sprigionato tutto il meglio di sé e non può dare altro. E allora non può dormire, così il sogno americano non svanirà mai”, afferma Federico Rampini, la cui carriera giornalistica inizia a “Città Futura”, il settimanale delle Fgci (Federazione Giovanile Comunista Italiana). Rampini sbarca per la prima volta negli Usa da comunista: può sembrare una contraddizione, forse lo è, ma essa combacia perfettamente con quanto dichiarato da Enrico Berlinguer, l’allora segretario del Partito Comunista: “Mi sento più sicuro nel Patto Atlantico” in una famosa intervista a Giampaolo Pansa del giugno 1976 sul Corriere. Ecco risolta la contraddizione della fascinazione del giovane Rampini per l’America, che trova il suo fondamento nell’idea di Berlinguer della necessità di una graduale distacco da Mosca e di aprire la strada a una sorta di eurocomunismo. Il visto per entrare negli Stati Uniti nel 1979 includeva di dire se eri o eri mai stato comunista: Rampini lo era ma disse di no, mentì e non fu mai “punito”. “Questo mi levò subito dalla mente la convinzione della super efficienza americana, così come lo stereotipo che gli americani non ti perdonano mai una bugia”.

L’ingresso di Rampini negli Usa coincise con la presidenza di Jimmy Carter che “pagò per errori non suoi, come nel caso dei fatti dell’ambasciata di Teheran (la cosiddetta crisi degli ostaggi di Teheran:  una crisi diplomatico-politica fra gli Stati Uniti e l’Iran, nata in seguito all’occupazione dell’ambasciata statunitense a Teheran da parte di un gruppo di studenti, nel corso della rivoluzione iraniana), in quanto ereditava, benchè democratico, il fardello imperiale inaugurato da Theodor Roosevelt alla fine dell’Ottocento ed era ben consapevole dei possibili attacchi da est, come confermò la crisi degli euromissili ai tempi di Reagan, e dei rischi rappresentati dai molti occidentali che iniziavano a simpatizzare per gli islamisti. I timori di Carter non erano infondati, a tal punto che il presidente francese di allora Franςois Mitterand – da notare che la Francia ha sempre messo il predominio statunitense all’interno della Nato – disse: “I missili nucleari sono a est, i pacifisti sono a ovest puntati contro di noi”. E infatti la politica di Carter portò alla fine della prima guerra fredda.”Carter anticipava- continua Federico Rampini – la rivoluzione neoliberista attuata poi da Reagan. Europa, Russia e Cina avrebbero copiato tutto dagli Stati Uniti, persino l’austerità energetica di oggi”. Profondamente religioso, era una pastore battista, Carter si spinse a dire che Gesù Cristo avrebbe approvato i matrimoni gay.

L’America di ventidue anni fa, quando i Rampini, padre, madre e figlio, presero la residenza negli Usa, non confondeva il lassimo con la tolleranza. “Difendeva la multietnicità ma pretendeva il rispetto delle regole. Oggi no, la disciplina non c’è più, l’idea dell’estrema sinistra amerciana, rappresentata dalla giovane deputata Alexandria Ocasio Cortez, è che le regole non valgono per gli immigrati, per il solo fatto della loro condizione. E’ un’idea che porterà alla fine dell’Occidente – sostiene Rampini -, la cui morte è un suicidio frutto di un sabotagggio di ogni difesa, contrastata anche dal fatto che nel dna europeo è presente un consolidato antiamericanesimo. L’America ha le sue colpe , una su tutte la guerra in Iraq dove mentii sulle armi di distruzione di massa. Le ragioni per difendere gli Usa le conoscono bene i giovani di Honk Kong e gli ucraini”. Jacopo Rampini racconta di un’esperienza con una ragazza afroamericana nel quartiere nero di Harlem; una sera Jacopo fu minacciato da un ragazzo nero: “Fu lei a mettersi tra noi due, il razzismo non è una piaga esclusiva dell’uomo bianco; pensarlo è segno di superficialità. In America mi sento italiano, in Italia americano”. Il segno della doppia cittadinanza, del rapporto tra due paesi lontani geograficamente ma accomunati da una lunga storia. L’Italia non può non dirsi occidentale, così come non può non dirsi europea.