Si può assegnare una quota, anche consistente, della propria fiducia a chi, intrattenendovi viepiù una relazione di natura affettiva, di-mostra un comportamento volto a soddisfare precipuamente i propri egoistici bisogni?
No, non si può è la risposta adeguata.
Appare quindi più che sensata la negazione di fiducia nei confronti di chi, neanche troppo abilmente dissimulando, disvela giorno per giorno una protensione per un sé desiderante.
Tale circostanza, in cui l’individuo é orientato ad una visione unilaterale della realtà e strumentale del prossimo, non concede il sufficiente margine di soddisfacimento a qualsivoglia previsione condivisa.
Tuttavia, malgrado ciò, la fiducia al prossimo viene usualmente elargita (quasi) a caso e con generosa frequenza, non di rado a soggetti inidonei a riceverla.
Non vi è dubbio che tale comportamento individuale manifesti in sé più un’ esigenza che un’ opzione.
Fatto sta che, nonostante ogni idea diffidente e recalcitrante, l’individuo investe volontariamente una consistente quota di fiducia, non solo nelle canoniche dinamiche sentimentali, ma anche nelle quotidiane evenienze civiche in cui giocoforza insistono forme commerciali di scambio.
Sia come sia, la fiducia concessa e rivelatasi mal riposta (e ciò può accadere a prescindere dalla natura del rapporto) non deve implicare, per mero processo induttivo, ostracismo erga omnes, negazione urbi et orbi.
La trattazione riferisce in specie sull’ intenzionale ingenuità di assegnare fiducia a soggetti le cui priorità sono rigorosamente e visivamente contrastanti con quelle personali. In quanto tali, possibile motivo di quotidiani chiarimenti.
E’ chiaro che, in questo caso, gli ingredienti che si combinano tra loro non possono che costituire una pietanza tossica.
Certi bisogni individuali, elevati a priorità, sospingono in una condizionata direzione ed eleggono un comportamento ego-sintonizzato, laddove considera secondaria e marginale ogni altra e altrui frequenza.
La riprova della com-presenza di comuni e condivise priorità é un dato percepibile già in sé nella non-necessità di inumani artifizi per combinare le parti.
Per altro verso, la controprova dell’ immiscibilità insta proprio nello sfalsamento tra le singole visioni dell’esistenza. E in ogni disperato tentativo, ciclico e titanico, di coniugarle felicemente, al punto da riecheggiare lo “sforzo sterile”, citando A. Camus, del mitologico Sisifo.