Chiavari: i giovani atleti e l'Inno di Goffredo Mameli - LevanteNews
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Cronaca

Chiavari: i giovani atleti e l’Inno di Goffredo Mameli

Raccolgo volentieri l’invito di Elvira Landò che così si domanda: forse tanti giovani, che sentono l’Inno degli Italiani per festeggiare l’oro olimpico e le fatiche che a ciascun atleta è costato, non ne conoscono la storia né l’Autore. Ed  ecco il testo che la professoressa Landò desidera consegnare ai giovani per aiutarli a capire e ricordare.

 

L’INNO DI MAMELI

Nell’ultima settimana, quando gli atleti olimpici italiani sono saliti sul podio, fieri dell’oro conseguito, ne hanno cantato la prima strofa e il ritornello, commossi…

E certamente molti giovani esultando ne hanno sentito risuonare le note. Ma forse ne ignorano la storia.

E’ detto anche Canto degli Italiani e dal dicembre 2017 è de iure il nostro inno nazionale..

Lo apprezzò lo stesso Verdi, che nel suo INNO DELLE NAZIONI, affidò proprio al Canto degli Italiani il compito di simboleggiare la nostra Patria.

La Società Economica chiavarese conserva, fra i suoi documenti, una serie di fogli manoscritti, il testo di uno dei quali ho scelto anni or sono per la copertina del volume che ne descrive il Museo del Risorgimento: il foglio ha per titolo “Inno del Signor Mameli”. E inizia così: O figlio d’Italia, l’Italia s’è desta… Un incipit leggermente diverso da quello entrato nell’uso.

Era raccolto insieme ad altri, con il titolo “Canzoni che si cantavano nel 1797 e nel 1848”

Trascritte con amor di patria, con empito eroico, con sofferta angoscia, ci comunicano quella passione patriottica e libertaria che a Chiavari alimentò scelte, opere, gesti di grande valore, connotazione di un Risorgimento di cui forse si perdono gli elementi fondanti.

Alcune di quelle canzoni restano anonime, ma la parole di quell’Inno hanno un autore ben noto. Forse, però, non a tutti.

Non ai giovanissimi alunni della scuola primaria, e forse neppure agli adolescenti liceali…E mi domando: perché gli insegnanti non raccontano, oltre ai fatti, alle idee, alle definizioni, alle regole…anche “le persone”.

Nessun progetto, nessuna formula, nessuna parola ricca di senso nasce al di fuori di un’esperienza vissuta, di una erlebnis sofferta in un contesto civile, sociale, etico ben preciso. E la personalità di chi lascia di sé un segno significativo merita di venire – se non conosciuta a fondo, cosa impossibile – almeno indagata, delineata…

Chi era Goffredo Mameli?

Era un ragazzo, bello come un dio – dicevano le donne – sensibile, pieno di sogni e di passioni…

Adolescente inquieto, curioso, amante della storia e dell’amore, nutrito nel pensiero e negli affetti delle vicende di Roma e dell’Italia divisa, da Epicuro a Seneca, da Dante a Foscolo, da Byron a Schiller, da Goethe a Leopardi…deluso dall’amore per Geronima Ferretti (la fecero sposare al vecchio marchese Giustiniani, la cui moglie si era uccisa per Cavour), deluso dalle promesse di Costituzione dei vari sovrani, deluso da Carlo Alberto dopo la sconfitta della Bicocca, deluso dal “sacco di Genova” subìto dalla sua città che voleva continuare a combattere l’Austria, Goffredo non si arrende, ma riempie i suoi quaderni di appunti, di canti, di poemetti, di progetti… tutti intesi a elaborare un degno futuro, per Genova e per l’Italia, nel ricordo di un passato eroico e glorioso.

Vuole l’Italia una, indipendente, repubblicana.

Giovanissimo, è mosso da un’intensa passione civile, da una rigorosa ansia etica, da una devozione sincera verso gli amici: Gerolamo Boccardo, Stefano Castagnola chiavaresi, …il mazziniano Michele Giuseppe Canale, Nino Bixio e Mazzini stesso. Pur da lontano, Mazzini, soprattutto attraverso la madre di Goffredo Adelaide Lomellini Zoagli, che nell’infanzia gli era stata profondamente amica, è in corrispondenza con lui. E per gli studi la madre, per tradizione famigliare liberale, lo affida, tredicenne, a Genova, a quei Padri Calasanziani, o delle Scuole Pie, gli Scolopi, che – dal Seicento – avevano elaborato un percorso formativo rivolto alla “persona”, incentrato sui valori della humanitas, dove la poesia e la storia si alimentano con la curiosità e la scienza, dove la dimensione civile ed etica si coniugano con la politica nel senso più alto. Mazzini ebbe amici gli scolopi padre Dasso, padre Bancalari, padre Paroldo, e Mameli ebbe padre Muraglia.

Sono gli Scolopi che qui a Chiavari vennero chiamati a metà ‘700 per guidare la straordinaria scuola fondata dagli sposi Maschio – Della Torre, scuola che formò tante coscienze, che l’Università di Genova tanto apprezzava, poi intitolata a Federico Delpino. Sono gli Scolopi a cui gli studenti riuniti nel 1846 nella Società Entellica ritengono debba essere affidata l’educazione delle ragazze, e non ai Gesuiti: si impegnano a non sposare fanciulle se non educate dai padri delle Scuole Pie! Questo dice quanto essi confidassero in un’intesa affettiva, intellettiva e culturale.

Quando, all’inizio dei corsi universitari, da Chiavari gli studenti si trasferiscono a Genova, vi si sposta la Società, che diventa Entellema, e si discute di storia, di diritto, di politica, di poesia. E Goffredo Mameli vi è accolto il 13 marzo 1847, diventandone membro attivissimo e segretario del Boccardo.

Questi, a Genova, sono anni di profonda e sofferta passione politica.

Tradite con il Congresso di Vienna le speranze di una riacquistata libertà – contro le promesse di Lord Bentick e nonostante i 25 milioni offerti dal marchese Brignole Sale – cancellata sotto i Savoia ogni conquista nel diritto, nell’istruzione, nel fisco, nell’amministrazione, i genovesi seguono le vicende piemontesi, lombarde, di tutti gli staterelli italiani, con vivissima partecipazione…

E il giovane Goffredo vive gli anni dal 46 al 49, scrivendo odi patriottiche, contestando il prof. Rebuffo che critica Manzoni, insofferente del reazionario ambiente universitario, partecipando in prima fila alla commemorazione della guerra contro l’Austria nella cerimonia che vede arrivare a Oregina, il 10 dicembre 1847, più di duemila persone, con i nobili liberali in testa, a ricordare Balilla, e poi, proprio lui, a capo della delegazione degli studenti, affida solennemente al Rettore dell’Università la bandiera tricolore che era il vessillo degli studenti in corteo.

E si canta il suo Inno, che in quegli anni, dove passa quello straordinario vento patriottico, dovunque viene cantato. Lo aveva musicato il Magioncalda, ma quando il pittore Ulisse Borzino lo portò a Torino, al patriota genovese Michele Novaro, questi commosso scatenò per ore sul clavicembalo il proprio entusiasmo, fino a proporre il giorno seguente la nuova creatura, la musica per quell’inno che subito infiammò giovani e vecchi, dando voce ad un sentire, ad un volere comune: si cantò, si pianse, a quell’ultimo finale, un si bemolle che ha tanta forza e fierezza…

Si voleva l’Italia libera e unita, si voleva una vita diversa, alla quale già aveva dato voce anche il consesso degli scienziati italiani, che nel settembre del 1846 proprio a Genova si eano riuniti per l’ottavo congresso: e c’erano tra loro anche sacerdoti come padre Lambruschini, scolopi come padre Bancalari chiavarese, e c’erano nobili, e il presidenteAntonio Brignole Sale, che concesse spazi per gli incontri e per le cene, le mense, dove la scienza si mescolava all’etica e alla politica. E spesso Mameli fu invitato e declamare suoi scritti patriottici, come Alba, ispirata al Berchet, che terminava così:”come un uomo in un giuro raccolti/ al conflitto fatal si verrà”

E si venne al conflitto. E ancora si cantò il suo Inno.

Alla notizia dell’insurrezione di Milano, il 18 marzo Mameli radunò una colonna di 300 studenti, la chiamò “Giuseppe Mazzini” e partirono. Si erano anche addestrati all’uso delle armi. Sulle barricate incontrò Mazzini, che un anno dopo, a Roma, gli fu ancora vicino, chiamato proprio da lui: Roma. Repubblica. Venite.

E Goffredo, a Roma, viene ferito ad una gamba e, per il sopraggiungere della cancrena – i medici non avevano visto nella ferita ancora residui di uno stoppaccio – amputato: muore dopo 33 gioni di sofferenza. Si chiedeva se sarebbe riuscito ancora a montare a cavallo…Gli è spesso vicina la straordinaria Cristina di Belgioioso, scrittrice, polemista, fondatrice di asili e di giornali, che a Roma organizza un ospedale per i feriti che han difeso la città, ricevendo da Pio IX l’epiteto di prostituta, come le altre infermiere (Enciclica Nobis et Nostrum). Ma Cristina gli risponderà con una lettera colma di dignità e umanità.

Anche la veneziana Adele Baroffio fu vicina a Nino, e i commilitoni, e l’amico fraterno Nino Bixio, come i medici tra cui l’amico di famiglia Maestri e il medico Agostino Bertani.

Giuseppe Mazzini fu per quanto possibile amoroso e sollecito nel confortarlo, e parlavano di filosofia, e – come Socrate con Fedone – dell’immortalità dell’anima.

Mazzini dirà poi di lui …era impossibile vederlo, e non amarlo

Com’erano giunti a Roma?

Il 16 settembre, al Carlo Felice, Mameli aveva proclamato in una poesia d’altissimo valore patriottico la necessità di continuare la guerra all’Austria, accusando pubblicamente Carlo Alberto di tradimento della causa italiana..

Genova, fallita la Prima guerra d’Indipendenza, intende dunque riprendere le armi, ma come ho accennato, Vittorio Emanuele II rifiuta, e il ministro Pier Dionigi Pinelli, che da mesi sospetta che si voglia raggiungere l’indipendenza dai Savoia, è ostile, per cui vengono mandati i bersaglieri a contrastare con le armi il proposito ligure. Ne conseguono una guerra fratricida e il tremendo “sacco di Genova”, che vede le più efferate violenze e poi la reazione e le condanne a morte di eroici patrioti, nobili, avvocati…costretti all’esilio. I più vanno a Roma, dove il triumvirato di Mazzini, Saffi, Armellini si consacrava ad un’intensa preparazione militare con Garibaldi e alla diffusione fra il popolo del progetto unitario. I bersaglieri di Manara, i lancieri del Masina, gli studenti dello Zamboni, tutti vivevano con entusiasmo quei giorni di frenetico lavoro organizzativo.

Alla fuga di Pio IX, è convocata l’Assemblea Costituente Romana. E Mameli che vi era giunto, scrive, opera da diplomatico, tiene i contatti con Mazzini e Garibaldi di cui è nominato aiutante, sprona le truppe, e infine combatte…Il 30 aprile in un primo attacco che vede i Francesi in fuga, Goffredo è leggermente ferito ad un piede. Poi Garibaldi si dirige contro i borbonici e a Palestrina li sconfigge: scriverà rivolto ai soldati borbonici:”…Mameli quel giovinetto sì bello sì candido, era quel desso che alla testa di una brigata di giovani, palpitanti per l’Italia, v’impauriva e vi sconfiggeva a Palestrina…”

Cavalcando tutta la notte, Garibaldi torna a Roma, da cui deve allontanarsi per accorrere a Velletri, poi ad Anagni. Il progetto di continuare la guerra contri i Borboni viene turbato dalle notizie che la capitale è di nuovo minacciata dai francesi: Mameli, che svolge il ruolo di consigliere e di messaggero viene inviato a Roma, da dove avvisa Garibaldi che è opportuno il suo ritorno: il generale infatti la sera del 2 giugno – al suo arrivo – vede sventolare la bandiera francese su Monte Mario. L’Oudinot aveva tradito il suo impegno, attaccando la notte del sabato. All’alba del 3 giugno Garibaldi, Manara, Masina, Bixio si precipitano a Porta San Pancrazio. Con loro, nonostante abbiano tentato di trattenerlo, c’è Mameli febbricitante. Quanti caduti…E Goffredo qui viene colpito da un proiettile sotto il ginocchio sinistro, sembra da uno dei bersaglieri.

La cancrena, l’amputazione, la febbre…e l’angoscia di non poter fare più nulla, infine il delirio…e dopo poco più di un mese, la morte, mentre gli scontri continuano.

Sotto la guida di Mazzini, frattanto, il 3 luglio ecco la proclamazione della Repubblica Romana e la promulgazione della Costituzione, la mirabile Carta che sarà modello cent’anni dopo della nostra Costituzione Repubblicana; ma i 7000 francesi dell’Oudinot erano entrati a tradimento in Roma.

Quanti eroi caddero sotto le armi francesi, per valori troppo spesso oggi dimenticati, come Mameli, come Enrico Dandolo, come Luciano Manara…

E la mattina del 6 luglio, anche Goffredo muore, e non aveva ancora compiuto ventidue anni…

Un eroe che può affidare ai giovani un messaggio di forza, di fiducia, di coraggio, d’amore.

Aveva anche indotto il padre, che militava con onore nella marina militare del re di Sardegna, a rivedere la propria posizione politica, l’aveva quasi persuaso a difendere Venezia con la grande fregata che comandava quale contrammiraglio, la De Geneys. Aveva fatto la spola tra Roma, Genova e altre città per alimentare lo spirito e l’azione patriottica, aveva scritto articoli di giornale infuocati e generosi, aveva chiamato a Roma Giuseppe Mazzini quando la speranza di liberare Genova era naufragata, aveva proposto che la Costituente Romana diventasse Nazionale.

Non meno degno di ricordo è Michele Novaro, genovese, che compone le note dell’Inno non ancora trentenne e dedica alla causa italiana il suo talento, musicando canti patriottici e organizzando spettacoli per aiutare le impree garibaldine.

Tornato a Genova nel 1865, fonda una Scuola Corale Popolare, cui si dedica con passione e muore vent’anni dopo, poverissimo.

Ma le sue spoglie sono a Staglieno, vicino alla tomba di Mazzini. I suoi allievi gli hanno dedicato il monumento funebre.

Come è possibile oggi negare il valore storico, simbolico, documentale, artistico di un connubio di parola e musica originale e umanamente ricco di senso, che negli anni ha saputo esprimere dell’amor patrio la profonda radice storica e un empito gagliardo, unitamente ad un proposito libertario, tanto da essere esemplare ?

Elvira Landò

18/6/21

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