Qual è il motivo per cui, appena se ne presenta socialmente l’occasione, diviene prioritario stigmatizzare i difetti altrui e non invece i pregi? Per altro verso, c’è un motivo, oltre quello strettamente individualista, per impegnarsi in un obiettivo che, nel suo inconcludente svolgersi, si nutre di acredine e ne esponenzializza la diffusione?
Il dilemma è palindromo: espone da entrambi i lati la latitanza di buon gusto e di buon senso. Ed esemplifica il suicidario destino che l’essere umano pare essersi convintamente assegnato.
L’acredine, l’invidia, “quelle mezze ostilità”, prese pari pari da un fraseggio di Mia Martini, non sono invenzioni contemporanee: da tempo sono implicate alla natura umana e vi si mantengono radicate, inseparabili come i pirati & il rum.
Nondimeno, é insignificante e inessenziale investigarne i presupposti antropo-illogici, come parimenti é il voler carpire il significato di un’armonia musicale, invece che farsi semplicemente catturare dalle emozioni sonore che emergono dall’ascolto della melodia.
A prescindere, vista la non-frequenza di armonia in questo civico rivaleggiare, meglio è recedere dall’ intransigenza che lo informa. Meglio scardinare appena possibile la insana sensazione di reciproca ostilità che aleggia, in generale, nella comunità urbanizzata.
Trascurando i richiami e risvolti etico-morali, il fatto nelle sue proposizioni e proporzioni può misurarsi visivamente, quasi con rigore algoritmico, lasciando poco spazio a dubbi e molto ad auto-giustificazioni.
Esistono formule e forme di relazione più av-vincenti e con-vincenti rispetto all’ uso pendolare che si fa del dispregio. Nondimeno, l’idea dell’inefficacia nel farlo pubblicamente notare induce e acuisce tale esacerbato andamento, sulla misura del “più giù di così c’è solo da scavare”, preso in prestito dall’ ironia musicale di Daniele Silvestri.
In sintesi, l’assunzione anche episodica del metodo del dubbio e dell’ ascolto ricettivo è quantomeno un valido diversivo all’incombenza, al radicamento di un baricentro relazionale ormai posizionato sul piano inclinato del “cretinismo sociale” (cit. E. De Conciliis), termine liberamente assunto per evidenziare un clima di sospettosità inter-personale ora mimetizzato come esigenza da restrizione pandemica.