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Fiori all'occhiello

Giù la maschera!

giù la maschera (ph fiori all'occhiello)

Di necessità, virtù.

Ogniqualvolta interviene un episodio che giocoforza  altera le radicate abitudini dell’uomo, egli sussume via via gli obblighi come fossero scelte volontarie.

Nel caso specifico della pandemia in atto, ci siamo ormai talmente assuefatti a doverci proteggere fisicamente dagli altri adottando le distanze prescritte dalle restrizioni sanitarie, da ipotizzare un difficile e macchinoso rientro al cosiddetto stato di normalità: non fosse altro che la normalità è diventata questa che adesso stiamo vivendo.

L’idea di sottrarci, a pandemia conclusa, allo spauracchio, al timore di ogni possibile contagiosità estranea e di liberarci d’emblée da un tal comportamento prudente e preventivo pare sotto certi aspetti utopica, ancorché tratteggiata per via mediatica come naturale automatismo.

Tanto più  visto che la futuribile conclusione del contagio non potrà essere contrassegnata con la stessa granitica certezza che avviene al termine della visione di un film con l’apparire della scritta “FINE”.

In specie, ciò identifica la condizione umana quando,  riconosciuto un pericolo, non tarda a radicare fiduciosamente in sé un’esigenza di cautela e di dotarsi degli strumenti a disposizione per fronteggiarlo. Non per niente, anche l’uomo più sfiduciato, quando il caso si presenta, deve riporre fiducia in qualcuno o in qualcosa.  

Non è strano quindi che, a seguito di una negativa esperienza,  permanga una condizione di allerta permanente anche quando la stessa é  accantonata, giacchè residua sempre nella mente la velata possibilità che l’esperienza possa replicarsi uguale ma diversa.

In tal senso, se oggi, dopo liturgica vaccinazione, è inopportuno pensare  di gettare la maschera (nel senso letterale del termine), domani, una volta debellato il pericolo di contagio (accertata scientificamente la fatidica scomparsa), la circospetta mal-fidenza renderà improbabile una volontaria azione liberatoria e una totale ripresa delle dinamiche collettive.

In sostanza, talune esperienze tendono ad imprimersi in maniera indelebile nella memoria individuale, addizionandosi alla potenziale riemersione della quota pregresse.

Non a caso il termine dizionariale “polifobia”,  in pertinenza a questo momento storico, traduce esattamente la “paura di tutto”, laddove l’esperienza, nel tempo, pare non costituire adeguato strumento per affrontare il corollario di questioni quotidiane.

Ne esita tuttavia un rimedio pronta cassa: il comodo rifugio offerto dall’individualismo materialista e dal consumismo, il cui contagio avanza virulento, senza che, a differenza della pandemia in atto, ne vengano contabilizzate giornalmente le vittime.

 

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